MATERICA
La scienza, come (non) te la immagini Marco Ferrazzoli, capo ufficio stampa CNR
“A picture is worth than a thousand words”, si sa: basti a ricordarlo l’immagine del corpo del piccolo profugo pietosamente preso in braccio dal soldato turco, pubblicata e mandata in onda su giornali, televisioni e Internet con un impatto ben superiore a quello dei tantissimi racconti e opinioni circolati su profughi e migranti. Ma pensiamo anche al miliziano di Robert Capa, alla piangente bambina vietnamita, al fungo levatosi verso il cielo dopo l’esplosione di Hiroshima, all’aereo che penetra in una delle Torri gemelle l’11 settembre 2001. Non c’è attentato terroristico, guerra, dramma umano che faccia eccezione alla regola secondo cui una figura vale più di mille parole. Anche la comunicazione della scienza deve attenervisi. L’esempio forse più significativo è l’inscindibile legame che lega l’articolo di Watson e Crick sul DNA alla figura della doppia elica. Non a caso il MIT di Boston ha incaricato la fotografa Felice Frankel di tenere un corso su “Making Science and Engineering Pictures: A Practical Guide to Presenting Your Work”. Ma non è solo questa la ragione per la quale l’arte dell’immagine - dalla fotografia al video, dalla pittura all’animazione - sta entrando con tanta forza nel novero degli strumenti utili a comunicare la ricerca scientifica al grande pubblico, assieme a letteratura, tecnologie hands on, pubblicità, show… L’altra semplice ma fondamentale funzione che la figura svolge, nella divulgazione, è quella di mostrare la bellezza che, della scienza, è un aspetto sostanziale quanto le ricadute culturali e applicative. Non per nulla, quando il CNR ha celebrato il suo novantennale e con alcuni colleghi abbiamo indetto un concorso fotografico, chiedendo ai dipendenti di documentare con una fotografia il loro lavoro, lo abbiamo intitolato “RiScattiamo la scienza”, nella convinzione che la piacevolezza della ricerca vada valorizzata e riscoperta, presso il grande pubblico e talvolta presso gli stessi addetti ai lavori. Colleghi come Michela Alfè dell’IRC e Mauro Caccavale dell’IAMC non solo hanno ben presente questa valenza estetica, ma ne sono degli attivissimi interpreti e promotori. La mostra Materica, allestita nell’ambito di una rassegna divulgativa ormai storica come ‘Futuro remoto’ organizzata dalla Città della Scienza di Napoli, ha il merito non solo di esporre delle immagini di grande fascino e interesse, ma di legarle con assoluta coerenza al lavoro di ricerca nell’ambito delle scienze dei materiali innovativi in cui opera il chimico Alfè. Con altrettanta coerenza la location che accoglie le loro opere, una cava di tufo nella Napoli Sotterranea, si lega all’attività scientifica del sismologo Caccavale. È un elemento che va evidenziato, poiché nello spettro sempre più ampio e affollato della comunicazione, informazione, divulgazione e disseminazione scientifica, nel quale anche chi scrive lavora da oltre una decina d’anni, si contano spesso iniziative magari meritevoli e benintenzionate ma segnate dalla mera giustapposizione tra l’elemento attrattivo e quello scientifico. Va pure sottolineato che gli autori, cementando un sodalizio già testato nel progetto Heartquake, basato sulla convergenza tra arte e scienza dei terremoti, con Materica si avvantaggiano di un soggetto molto appealing come la ricerca fisico-chimica sui nuovi materiali, in particolare i circa 500 bidimensionali cui Nature ha di recente dedicato un articolo spiritosamente intitolato “2D or not 2D”. Potremmo definirla la “rivincita di Flatlandia”, nel senso che gli scienziati stanno lavorando con successo a un mondo “piatto” che ricorda il racconto scritto da Edwin Abbott Abbott. Michela e Mauro hanno quindi buon gioco, con le loro fotografie, nel suggerire e proporre altre visioni oltre a quelle letteralmente rappresentate, nonostante le immagini restino solidamente ancorate alla loro natura scientifica tramite didascalie rigorosissime. Un film di melanina-grafene ritratto in microfotografia diviene una mappa geografica tridimensionale, un gel di polivinilpirrolidone richiama l’oro alchemico.
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